I condomini pagano le spese per rifare la caldaia anche se non si sono serviti dell’impianto centralizzato

Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.

Così recita l’articolo 1123 cod. civ., e così – nonostante la particolarissima fattispecie esaminata – ha pedissequamente statuito il Tribunale di Parma a mezzo della sentenza n. 1281/19, pubblicata il 1.10.19, dopo essere stato chiamato a decidere su una opposizione a ingiunzione avente ad oggetto la richiesta nullità di una delibera con cui, per l’appunto, si erano esclusi tre condòmini su diciassette dalla ripartizione delle spese per il rifacimento della caldaia.

Un errore dell’amministratore macroscopicamente “digerito” o avallato dall’assemblea, penserete subito. E invece no.

Una prassi consolidata, per quel condominio, sin da quando, nei lontani anni cinquanta, il palazzo era stato eretto allocando al piano terra tre autorimesse, poi diventate abitazioni, coincidenti con le proprietà dei tre condòmini esclusi i quali – in ogni caso – non avevano mai utilizzato la caldaia posta in rifacimento.

=> Chi paga le spese per i pezzi di ricambio della caldaia?

La gestione delle spese condominiali

Si trattava di una situazione cristallizzata, dicevamo, tant’è vero che la condomina opponente, nel corso di svariati anni, aveva sempre approvato bilanci e riparti senza batter ciglio, e solo ultimamente, dopo aver ricevuto l’ingiunzione di pagamento delle quote straordinarie attribuitele per il nuovo impianto caldaia, aveva deciso di proporre opposizione non ritenendo giusti i criteri di suddivisione di tali spese che avevano determinato l’ammontare delle somme a lei richieste con procedimento monitorio.
Il Tribunale di Parma, nel dar ragione alla parte opponente, ha premesso e rilevato in sentenza, conformemente alle numerose pronunce degli Ermellini, che “è affetta da nullità (la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ed ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 cod. civ.) la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali (art.1123 cod. civ.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione diservizi nell’interesse comune.

Ciò – afferma la Cassazione – perché eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca” (Cass. Sez. 2, 17.1.2003 n.641; Cass. SS.UU. 4806/2005; Cass. Civ. 17101/2006; Cass. Sez. 2, 4.8.2016 n. 16321).

E in risposta a quanto dedotto dal condominio opposto, che insisteva per l’ipotesi di annullabilità – e non di nullità – delle delibere in esame, il Giudice parmense non ha mancato di sottolineare anche le più recenti pronunce della Suprema Corte, la quale, senza mezzi termini, ha chiarito come “ sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, cod. civ., tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale (Cass.Sez.6-2,9.3.17, n.6128)” Cass.n.19651/2017.

Dunque, la delibera era nulla e non annullabile, e per il Tribunale di Parma non rileva alcunché la circostanza che – negli anni precedenti – l’intransigente (e ora vittoriosa) condòmina avesse prestato assenso alla tipologia di ripartizione oggi contestata, peraltro riferita a costi gestionali di natura ordinaria e non straordinaria.

Ma la questione in giudizio ha presentato anche altre particolarità. Il Condominio opposto aveva dedotto, carte alla mano, che l’impianto di riscaldamento condominiale non era mai stato utilizzato dai locali al piano terra dei tre condòmini esclusi dalla ripartizione delle relative spese, essendo in origine semplici autorimesse come risultante dal certificato di prevenzione incendi del 9.12.1955, ciò essendo inoltre confermato dal regolamento condominiale del 10.10.1954 ove l’impianto di riscaldamento centralizzato non era stato menzionato nell’elenco delle cose che costituiscono “proprietà comune a tutti indistintamente “.

=> Non è risarcibile il danno morale subito da conduttore e dalla sua famiglia per il cattivo funzionamento della caldaia.

Il Giudice di Parma, a tal proposito, nel sottolineare che – nonostante la relazione dei Vigili del Fuoco – la documentazione dell’Ente Civico attribuiva ai locali del piano terra una destinazione commerciale, che dalle perizie tecniche esibite in giudizio si era rilevata l’impossibilità di sapere se le tubazioni dell’impianto radiante potessero servire il piano terra, e che alcun chiarimento ulteriore era stato offerto dalle espletate prove testimoniali, ha ritenuto come “in ogni caso ciò che più rileva è che non risulta un regolamento contrattuale o una delibera approvata all’unanimità che esoneri i suddetti dalla partecipazione alle spese straordinarie del riscaldamento condominiale (neppure per la eventualità che i condomini del piano terra non se ne servissero ab origine).

Ecco dunque, come anticipatoVi in premessa, la pedissequa e intransigente applicazione dell’art 1123 cod. civ. Prima di concludere, ancora una osservazione. Le pretese del condominio sono state rigettate, oltre che per i motivi suesposti, anche per la mancata manifestazione di “facta concludentia ” da parte dell’amministrata opponente.

Infatti, come innanzi richiamato, ferma restando la personale approvazione di quest’ultima relativamente ai bilanci degli esercizi precedenti, dal completo esame della fattispecie oggetto del giudizio si è potuto constatare che mai erano state portate all’attenzione dell’assemblea – prima della rivendicazione delle ragioni esposte nell’atto di citazione in opposizione – altre questioni riguardanti la straordinarietà di costi in ripartizione inerenti la caldaia.

Conclusione? Revoca dell’ingiunzione e condanna alle spese nei confronti del condominio, dal momento che le delibere oggetto di causa, come sentenziato dal Tribunale di Parma, “risultano pertanto nulle nella parte in cui dispongono l’esclusione dei condomini del piano terra alla partecipazione delle spese straordinarie inerenti il riscaldamento, di conseguenza invalidando in parte qua il riparto consuntivo e quello preventivo delle spese approvati con delibera del giorno X”.

Una sentenza quasi “glaciale“, possiamo dire, che a torto o a ragione non offre spazi di manovra oltre i “paletti” imposti dell’articolo 1123 cod. civ.. Come dire: le ripartizioni delle spese si fanno sempre e soltanto secondo legge, e se vecchie situazioni di fatto o nuove sopravvenute esigenze lasciano trasparire anche solo la possibilità di procedere a suddivisioni di natura “speciale”, pensateci bene. Meglio chiarire unanimemente prima, che non dover soccombere completamente poi.

Fonte: https://www.condominioweb.com/spese-rifacimento-caldaia.16378